mercoledì 17 dicembre 2008

Difetto di Fabbrica_Catena di smontaggio



A cosa "serve" il teatro?
A evocare e smuovere dal profondo, utilizzando un linguaggio di sintesi che non può (e non deve, a mio avviso) "spiegare" ciò che si intende dire. Lo si dice e basta, con spazio-immagine-suono-corpo-voce-azione in un universo testuale fatto di mille particolari che non colpiscono sempre o necessariamente una zona "conscia".

DIFETTO DI FABBRICA parla di Stanley Milgram e del suo esperimento volto a dimostrare che la zona buia che ognuno (nessuno escluso) ha dentro di sé può diventare uno strumento duttile in mano al potere. E così, persone assolutamente NORMALI possono diventare senzienti di fronte a un ordine aberrante, compiere azioni contro la propria morale, azzerare la capacità di giudizio e dunque di scelta.

DIFETTO DI FABBRICA dice che questa possibilità trascende l'appartenenza sociale e culturale, le differenze di sesso e di genere, il contesto storico.

Abbiamo fatto uno spettacolo, non un comizio, e quindi abbiamo cercato di rendere tutto questo con il mezzo che abbiamo scelto.

L'ombra di Umberto sui disegni di Gianluca dice molto più di quanto non si potesse rendere a parole. I "tic" del personaggio Saler - il torturatore - segni esteriori di un'interiorità compressa che se ne scappa dove può - sono più efficaci di ogni altra dichiarazione.
La rete di ferro che fa da tavolo a Saler e vibra come un corpo scosso dalla corrente richiama mille altri possibili scenari di sofferenza.
Questo per quanto riguarda le scelte di regia, fermo restando che il testo scritto da Gianluca Foglia, i suoi disegni, e la sensibilità attoriale di Umberto Fabi erano già un ottimo materiale di partenza.

Ribadisco l'assoluta piacevolezza del lavoro e il confronto vivace e pieno di stima reciproca che ci ha unito in questo periodo, perché lo considero una condizione rara. Felice anche del contributo impagabile del Dott. Adriano Zamperini, psicologo sociale nella vita e per l'occasione attore di insospettabile credibilità nei contributi video.

Mi rifaccio a lui per per raccontare un episodio e per fare una considerazione finale. Nelle varie revisioni che hanno fatto del testo iniziale una drammaturgia teatrale, una delle varianti arriva direttamente da Adriano e dal suo intervento davanti agli alunni di scuola superiore in una conferenza preliminare sull'assenza del reato di tortura in Italia: nelle moderne "democrazie" - questa in breve la sua tesi - si tende a "edulcorare" alcuni concetti spiacevoli o portatori di significati fortemente negativi. Insomma, è disdicevole chiamare le cose con il loro nome quando aprono scenari sconvenienti. Per questo motivo, nello spettacolo il "Torturatore" viene opportunamente ribattezzato "Educatore Cognitivo"

La battuta del personaggio torturatore Saler, per elevare la valenza del proprio mestiere, inizialmente recitava così: "Vogliamo allora definire il mestiere del torturatore con una terminologia più consona?"

Dopo l'intervento di Adriano l'abbiamo riscritta così: "Vogliamo allora definire il mestiere del torturatore con una terminologia più consona a una Democrazia?"

Come la nostra, magari...

Aggiungo: proviamo a chiamare le cose con il loro nome, a non cedere alla lusinga delle perifrasi.

Questa quiescenza collettiva, in cui "non si può dire", sta azzerando la nostra coscienza. Smontiamo questa catena.

2 commenti:

fogliazza ha detto...

Andiamo avanti! L'importanza della storia che va trasmessa e l'onore di trasmetterla insieme a te e Umberto ha il sapore delle cose belle. Voglio essere ingordo di cose buone!

Giunglaverde ha detto...

Ciao sono Lorenzo,cercherò di capire il vostro lavoro,intanto lascio il mio blog-commentate!

e poi il link del gruppo che promuovo i FLORA

www.myspace.com/florakiki